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Via libera alla riforma del Patto di Stabilitร , l’accordo sospeso dal 2020 per le conseguenze economiche dovute alla pandemia. Alcuni punti sono interessanti, specialmente per il nostro Paese. Innanzitutto, va precisato che il Patto riguarda quei paesi, tra cui l’Italia appunto, il cui debito pubblico supera il 90% del PIL. In secondo luogo, la riforma prevede che i paesi interessati debbano presentare dei piani quadriennali, o anche settenali all’occorrenza, di riduzione del debito. Queste misure potranno essere contenute all’interno di un range dello 0,5%-1% del PIL. Altra importante riforma รจ la previsione di perseguire un deficit strutturale dell’1,5%, in caso di shock economico, da ridurre con aggiustamenti dello 0,4% o 0,25% del PIL (in caso di investimenti strutturali). A tal proposito, si ricorda che attualmente l’obiettivo di medio termine del Patto รจ del pareggio di Bilancio. Con questa nuova versione si concede quindi piรน libertร , e risorse, agli Stati interessati. MA… si tratta pur sempre di una misura di politica fiscale restrittiva, in quanto, come detto, il patto fu sospeso all’inizio del 2020. Pertanto, l’economia alle prese con le conseguenza della stretta monetaria del 2022/2023, si troverร ancor piรน ad auspicare una discesa dei tassi.
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A proposito di tagli dei tassi, si comincia a parlare sia in area Euro che in area Dollaro, di quando avverrร la prima riduzione. Ma chiย tra FED e BCE comincerร per primo? Storicamente, la BCE ha sempre “seguito” il comportamento della FED, andando a ritoccare i tassi solo dopo la decisione della FED. In una sola occasione, nel 2011, la BCE ha alzato i tassi di interesse mentre la FED รจ rimasta ferma e solamente in una occasione, nel 2016, le due Banche Centrali hanno preso una decisione opposta (taglio per BCE dopo rialzo della FED). Sarร cosรฌ anche questa volta? Le condizioni economiche sembrano far propendere per il contrario, con l’economia europea in netto rallentamento e con politiche monetarie e fiscali restrittive. Ma l’andamento del cambio EUR/USD, apprezzatosi dall’inizio del rally di ottobre, sembra voler confermare la tendenza di lungo periodo che vede la FED prima “interventista”.