La scelta della destinazione del proprio TFR è un momento tanto cruciale quanto sottovalutato e poco conosciuto per la maggior parte dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Il momento in cui un lavoratore viene assunto in una nuova azienda è foriero di grande emotività e aspettative sia nel caso si tratti di una prima assunzione, sia nel caso (meno fortunato) che si tratti di una scelta dovuta a fattori esogeni quali la cessione dell’azienda dove si lavorava o un ridimensionamento della stessa.
Qualunque sia il caso è proprio questo il momento in cui il lavoratore deve compiere una scelta importante di pianificazione delle proprie risorse per il proprio futuro, la scelta della destinazione del proprio TFR.
In questo articolo si analizzeranno le possibili scelte circa il TFR, i vantaggi fiscali della soluzione offerta dalla previdenza complementare, le prestazioni offerte da questa in caso di interruzione del rapporto di lavoro o di vicende attinenti la via umana.
Il TFR
Il TFR, o Trattamento di Fine rapporto, è un accantonamento mensile della retribuzione lorda effettuato da parte del datore di lavoro che viene riconosciuto al lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro, per pensionamento o per altre vicende. È disciplinato dall’art. 2120 del Codice Civile e rappresenta un unicum tutto italiano. Il TFR viene alimentato tramite il versamento di una quota pari al 6,91% della retribuzione annua. Nel calcolo della retribuzione vengono considerati tutti i compensi di natura non occasionale, includendo quindi premi di produttività, straordinari, ecc ed escludendo invece, alter voci occasionali quali per esempio, i rimborsi spese.
La scelta della destinazione
Il lavoratore dovrà scegliere, entro 6 mesi dalla data di assunzione, tramite la compilazione del Modello TFR1, se destinare il proprio TFR alla previdenza complementare, oppure mantenerlo in azienda. La scelta è condizionata dalla dimensione della azienda per cui si lavora, poiché le imprese che hanno più di 49 dipendenti (calcolati in unità di lavoro, vale a dire che due part-time fanno una unità) devono necessariamente indicare un fondo di previdenza cui versare il TFR maturando dei dipendenti.
L’individuazione del fondo e il regolamento sulla contribuzione ad esso è oggetto di accordi sindacali o collettivi. I fondi così individuati sono i fondi di previdenza Negoziali (FPN).
Se il lavoratore non esprime alcuna scelta entro sei mesi, il suo TFR verrà destinato alla forma di previdenza indicata dall’azienda (adesione tacita o silenzio-assenso). Sempre nel caso di azienda con più di 49 dipendenti, il lavoratore può aderire espressamente al versamento del TFR alla forma di previdenza complementare prevista dall’azienda o può espressamente negare l’adesione e in questo caso il suo TFR maturando confluirà nel fondo di Tesoreria INPS.
Se invece l’azienda ha meno di 50 dipendenti e il lavoratore non esprime alcuna scelta entro sei mesi dall’assunzione, il suo TFR maturando rimarrà in azienda, viceversa, potrà indicare un fondo di previdenza di sua scelta o individuato dall’azienda cui far confluire il suo TFR maturando.
I fondi ad adesione individuale sono chiamati fondi di previdenza aperti (FPA), mentre i fondi gestiti per il tramite di contratti di assicurazione sono detti piani individuali pensionistici (PIP).
Come scegliere
Per poter effettuare correttamente la scelta circa la destinazione del proprio TFR, vanno presi in considerazioni diversi fattori, tra cui il rendimento, l’orizzonte temporale, la fiscalità, la flessibilità e la sicurezza.
Rendimento
Per ciò che concerne il rendimento del TFR, occorre distinguere la rivalutazione ex-lege prevista per il TFR mantenuto in Azienda e al Fondo di Tesoreria INPS, con il rendimento ottenuto dalle gestioni pensionistiche complementari.
La prima è pari all’1,5% su base annuale sommata al 75% (se positivo) dell’apprezzamento dell’indice FOI dell’ISTAT indicante l’inflazione in Italia. A causa della forte inflazione sperimentata nel 2022, il coefficiente medio si attesta al 2,87%.
Per quanto concerne le gestioni pensionistiche, il sito della COVIP offre i rendimenti ottenuti nel tempo dai vari fondi pensione. Si evince che, nonostante la crisi dei mercati finanziari del 2022, pressochè la totalità dei fondi a gestione azionaria negli ultimi 10 anni (2013-2022) ha fornito un rendimento superiore alla rivalutazione del TFR. Per le gestioni bilanciate il rendimento si attesta vicino alla rivalutazione di legge. Discorso diverso per le gestioni obbligazionarie o garantite che oggi risentono pesantemente della debacle dei mercati finanziari del 2022.
Orizzonte temporale
Non si può prescindere dal considerare l’orizzonte temporale di investimento quando si pensa alla destinazione del TFR. Quando si tratta di una prima assunzione, infatti, dobbiamo pensare che ad un periodo di tempo non inferiore ai 20 anni di contribuzione (ma che generalmente è molto maggiore). Anche per quei lavoratori che si trovino a dover decidere del proprio TFR diversi anni dopo la prima assunzione il periodo mancante alla pensione può consistere di diversi anni. E’ pertanto importante scegliere badando non solo alla certezza del capitale (nominale) offerto dalla rivalutazione del TFR in azienda, ma anche alle possibilità offerte dalle gestioni previdenziali sul medio-lungo termine, anche a fronte di maggiore variabilità dei rendimenti. Si vedano anche le considerazioni fatte a proposito dell’investimento in PAC
Fiscalità
Non ininfluente è la considerazione delle numerosi agevolazioni fiscali previste dallo Stato, sia per i lavoratori che per le aziende, per incentivare l’adesione alla previdenza complementare.
In fase di accumulo, tutti i contributi versati a titolo volontario (ad esclusione del TFR quindi) sono deducibili dal reddito imponibile nei limiti di 5.164 € annui ivi compresi i contributi che il datore di lavoro versa nei fondi di previdenza a seguito di accordi collettivi o sindacali. Va da sé che tutto ciò che viene versato si traduce in minore tassazione pari alla propria aliquota marginale IRPEF. Per fare un esempio, un lavoratore sottoposto ad aliquota marginale del 43%, pertanto risparmierà il 43% d ciò che volontariamente devolve alla previdenza complementare in termini di minor tasse.
Per i lavoratori che entro i primi 5 anni dall’assunzione non riescono a raggiungere il plafond dei 5.164,57 € anzidetti, lo Stato prevede che possano dedurre, nei 20 anni successivi, la quota parte del plafond non utilizzato, con limite massimo di 7.7746,86 € annui.
La tassazione dei rendimenti dei fondi di previdenza è pari al 20% e non al 26% come gli strumenti finanziari diversi da titoli di Stato. E’ pur vero che la rivalutazione del TFR lasciato in azienda è sottoposta a tassazione del 17%.
E’ nella fase di prestazione che si ottengono i maggiori vantaggi fiscali. Al momento del pensionamento, infatti, la tassazione che si applicherà al montante pensionistico (TFR + contributi volontari) varierà da un massimo di 15% e minimo del 9% a seconda dell’anzianità di appartenenza al fondo. Di contro, la rendita erogata dalla previdenza obbligatoria è soggetta a tassazione separata con aliquota pari alla media degli ultimi 5 anni lavorativi. Per fare un esempio, un reddito annuo di 60.000 € vedrebbe un’aliquota di oltre il 31%! Inoltre, i contributi volontari versati e non dedotti, saranno esenti da ogni tassazione
Flessibilità
Confrontiamo, poi, la flessibilità offerta dai fondi pensione rispetto alla scelta di lasciare il TFR in Azienda.
Per i Fondi Pensione è previsto poter richiedere delle anticipazioni decorsi 8 anni per acquisto di prima abitazione per sé o per i figli, per ristrutturazione nel limite massimo del 75% del montante accumulato, mentre per altre esigenze non motivate il limite è il 30%. Per esigenze sanitarie il limite è 75% ma sono richiedibili in qualunque momento.
Riguardo al TFR lasciato in azienda, invece le anticipazioni possono essere richieste in genere solo una volta e per un limite complessivo del 70% dell’importo maturato per motivi sanitari, acquisto o ristrutturazione abitazione (art 2120, comma 6 cod.civ.) e deve essere comunque contenuto nei imiti del 10% degli aventi diritto e, comunque, nel limite del 4% del numero totale dei dipendenti.
Infine, il TFR al fondo pensione può essere convertito anche in rendita per il 100% del montante o anche del 50%.
Sicurezza
Venendo infine alla sicurezza del proprio capitale, c’è da considerare che il TFR altro non è che un credito che il lavoratore vanta nei confronti del proprio datore di lavoro. Dopo aver effettuato civilisticamente l’accantonamento del TFR, non è detto che l’Azienda abbia materialmente le risorse finanziarie per far fronte al proprio debito, almeno in tempi rapidi. Ciò perchè dette risorse possono essere state utilizzate, nel corso della vita dell’impresa, per finanziare il proprio capitale circolante. Si pensi, in estremo, al caso di azienda in dissesto finanziario o in procedura concorsuale. In questi casi è fatto salvo il diritto del lavoratore alla liquidazione del credito TFR vantato, ma può essere necessario ricorrere al fondo di garanzia dell’INPS se l’azienda fosse insolvente. Questo può chiaramente comportare complicazioni burocratiche e tempistiche maggiori.
Un fondo di previdenza complementare è un capitale separato rispetto all’azienda che lo ha costituito ed è soggetto a rigidi controlli da parte delle autorità, in primis la COVIP. Ciò lo rende indifferente alle vicende sia dell’azienda dove il lavoratore presta la sua opera, sia alle eventuali vicissitudini della società istituente il fondo pensione.
Conclusioni
Abbiamo visto diversi fattori da considerare nella scelta della destinazione del TFR. Il rendimento può essere un elemento variabile e dipendente dal momento di analisi, sebbene su orizzonti temporali lunghi, tipici di una carriera lavorativa, si dimostri che l’investimento in fondi azionari batta la rivalutazione TFR. La fiscalità è la carta vincente delle forme di previdenza complementare, sia in fase di accumulo che, soprattutto, in fase di rendita con tassazioni che possono essere di gran lunga inferiori rispetto al mantenimento in Azienda del TFR. Le soluzioni di previdenza complementare risultano, infine, più flessibili per quanto riguarda le prestazioni e più sicure dal punto di vista dell’affidabilità della controparte.
Tutto questo deve essere necessariamente accompagnato dalle considerazioni circa le difficoltà oggettive del sistema pensionistico obbligatorio e la scarsa consistenza delle pensioni erogate con il sistema contributivo (Rapporto annuale INPS 2021), che rendono urgente il ricorso a soluzioni integrative del reddito.