Il costante invecchiamento della popolazione, l’aumento dell’aspettativa di vita, l’entrata nel mondo del lavoro da parte dei giovani che avviene sempre più tardi, le difficoltà dello Stato Italiano a far fronte alla spesa elevata delle pensioni, fa assumere una importanza imprescindibile al cosiddetto “terzo pilastro” del sistema previdenziale Italiano, ammesso che sia ancora opportuna una tale divisione in pilastri di diversa importanza.
Aderire ad un fondo pensione presenta innumerevoli vantaggi, non solo fiscali, per tutte le categorie di lavoratori ma anche per i datori di lavoro. Le previsioni fiscali sono contenute nel D.Lgs 252/2005 , che prevede anche le misure compensative per le aziende che decidessero di privarsi del TFR per trasferirlo ad un fondo pensione.
Si è già parlato in un altro articolo dei vantaggi per i lavoratori e per le aziende di aderire ad un sistema di previdenza complementare con il versamento del TFR e/o dei contributi volontari. In questo articolo ci basti ricordare quanto disposto dal D.Lgs 252/2005 cioè che i contributi versati ad un fondo pensione da parte del lavoratore e del datore di lavoro come contributo volontario sono deducibili dal reddito fino a 5.164,57 euro annuali. Tale previsione vale anche per chi contribuisca a favore di un soggetto fiscalmente a carico. La tassazione al momento della prestazione è di massimo il 15% e un minimo del 9% sulla parte composta dai contributi e non dai rendimenti, i quali sono tassati ogni anno con un’imposta del 20% per quegli asset che altrimenti sarebbero tassati al 26%, rimanendo ferma la tassazione al 12,5% per ciò che concerne titoli di Stato italiani, nazionali o sovranazionali.
In questo articolo voglio approfondire due aspetti del fondo pensione quale strumento utile al welfare aziendale e le sue implicazioni a livello fiscale, nonché come strumento utile per attrarre o fidelizzare in azienda la forza lavoro, fungendo come punto di incontro tra l’interesse del lavoratore e dell’imprenditore.
Il Premio produttività
Nel primo aspetto si prende in considerazione il “premio di produtività” o premio di risultato. Questi sono definiti nel decreto Ministeriale del 25 Marzo 2016 come “le somme di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione. Sono quindi somme ad importo variabile che vengono erogate al lavoratore come premio per la maggiore produttività, redditività, qualità, efficienza, innovazione, raggiunte a livello aziendale. E’ evidente quindi la funzione del premio di produttività di rispondere ad un duplice interesse: da un lato del datore di lavoro di motivare i propri dipendenti ad impegnarsi maggiormente e dall’altro da parte dei lavoratori di guadagnare di più.
Perché è importante il premio di produttività?
La Legge di Stabilità 2016 ha previsto l’applicazione di un regime fiscale di favore sulle somme corrisposte a titolo di premio di produttività come sopra descritto. Tale regime di favore si concretizza nell’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF, e relative addizionali, nella misura del 10%. Il massimo importo su cui applicare la disposizione sono 3.000 € che si incrementa a 4.000 € per le imprese che prevedono forme di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Gli importi che eccedono tali limiti concorrono a formare il reddito complessivo del lavoratore pertanto sono soggetti a tassazione ordinaria IRPEF. L’agevolazione fiscale è rivolta a quella platea di lavoratori dipendenti che nel periodo di imposta precedente non abbiano dichiarato un reddito superiore a 80.000 € annuali, escludendo redditi tassati a tassazione separata. Il controllo del limite viene effettuato ogni anno. Pertanto risulta evidente il vantaggio fiscale del lavoratore che si troverà a dover versare la sua quota di contributi previdenziali (9,19%) e una tassazione agevolata di gran lunga inferiore anche all’aliquota minima IREPF pari al 23%.
Dall’altro lato, la convenienza fiscale per l’Azienda non è così evidente, la quale potrà si portare a deduzione dell’imponibile IRES il premio produttività ma si troverà comunque a dover versare la sua parte di contributi previdenziali e altri oneri connessi al costo del lavoro.
Potrebbe essere vantaggioso versare il premio di produttività nel fondo pensione?
La risposta è ovviamente SI poichè la legge di bilancio del 2017 ha introdotto una nuova agevolazione fiscale riguardante tali somme. Il lavoratore che destinerà infatti il suo premio in un fondo pensione godrà di tre importanti vantaggi:
- Il premio non concorrerà a formare il reddito complessivo del lavoratore, neanche se questi ha già usufruito del massimo di deducibilità fiscale di 5.164,57 € annuali;
- Non subirà alcuna tassazione, neanche l’imposta sostitutiva del 10% come sopra descritto;
- Non subirà alcuna tassazione anche al momento del pensionamento, altrimenti pari a massimo il 15% e minimo il 9% per ciò che riguarda il fondo pensione.
Ma i vantaggi non sono solo per i lavoratori dipendenti, in quanto destinare il premio di risultato al fondo pensione è conveniente anche all’azienda. Questa, infatti, oltre a dedurre dall’IRES il costo del premio, può versare come contributo previdenziale non più il 23% circa, oltre ad altri oneri connessi, ma solamente il 10% come contributo di solidarietà. Si ottiene quindi il risultato di consegnare al lavoratore dipendente uno stimolo alla maggior produttività, gratificandolo con un valore economico maggiore di quanto non fosse se versato in busta paga, ottenendo anche un risparmio fiscale per l’azienda.
Riepiloghiamo quanto espresso finora in una tabella e poi esaminiamo un esempio concreto.
Passiamo ora ad un esempio concreto. Si prenderà in considerazione un premio di produttività di 3.000 € ad un lavoratore soggetto ad aliquota marginale IRPEF di 43% e vedremo i vantaggi relativi per lavoratore e Azienda. Si passerà poi ad analizzare un premio di 7.000 € e studieremo anche in questo caso i vantaggi fiscali.
Nel caso in esame, il premio corrisponde al tetto massimo previsto dalla Legge di Stabilità 2016, vale a dire 3.000 €. Come sopra descritto, si vede che il lavoratore che destina il premio di produttività al Fondo Pensione non subisce imposizione, neanche sostitutiva, nè versa contributi INPS. Inoltre, il totale del Premio concorrerà a fare montante pensionabile senza subire alcuna tassazione. Ciò comporta che il dipendente otterrà un premio superiore di circa 550 € rispetto all’accredito in Busta Paga.
Per ciò che riguarda l’Azienda si vede che tramite il versamento al Fondo Pensione otterrà due effetti: un risparmio sugli oneri previdenziali e una minore deduzione IRES, più che compensata dal primo effetto, con un risparmio netto di circa 460 €
In questo caso, invece, il Premio supera il tetto massimo previsto dalla Legge di Stabilità. Pertanto, il soggetto lavoratore, sia che decide per ricevere il premio in busta paga, sia che opti per il versamento al fondo pensione, è soggetto a tassazione IRPEF (con aliquota marginale del 43%) per la parte di premio che supera i 3.000 €. Il suo vantaggio fiscale ammonta a circa 1.278 €. Ma il lavoratore può ancora massimizzare il vantaggio fiscale nel caso non avesse già raggiunto il limite massimo di deducibilità dei 5.164,57 € annui previsti per i versamenti alla previdenza complementare. In questo caso, il versamento della parte di premio che eccede i 3.000 €, vale a dire 4.000 €, può essere portata in deduzione dal reddito, andando a generare ulteriore beneficio fiscale di 740 € circa.
La situazione per l’Azienda rimane invariata nella sostanza rispetto alla precedente simulazione, potendo dedurre il costo dall’imponibile IRES e risparmiando parte di oneri previdenziali, in questo caso il risparmio per l’Azienda è di 1.079 €.
Il punto di incontro tra dipendente e Azienda
Uno dei dilemmi che si trovano ad affrontare le piccole e medie realtà imprenditoriali è la fidelizzazione della propria forza lavoro e, soprattutto, della attrattività verso nuovi talenti. Spesso queste realtà, infatti, si trovano a scontrarsi con Aziende ben più grandi e con capacità di spesa maggiore.
L’imprenditore può decidere allora di offrire una remunerazione in busta paga più generosa oppure optare per una diversa forma di retribuzione, ad esempio versando un contributo volontario nel fondo pensione del dipendente.
Confrontiamo le due soluzioni.
Innanzitutto, è bene ricordare che la retribuzione è solo una parte del costo complessivo per il lavoro: l’Azienda infatti deve anche versare contributi previdenziali obbligatori pari al 23,81% della RAL a suo carico e i contributi INAIL per un totale di circa il 31%. Dovrà poi versare il TFR, pari al 7,41% della retribuzione lorda, la sua rivalutazione e ulteriori oneri accessori. Versando invece l’aumento di stipendio ad un Fondo Pensione, invece, l’unico costo che l’Azienda sopporterà sarà del 10% per il contributo di solidarietà.
Dal punto di vista del lavoratore, una aumento in busta paga viene tassato con aliquota marginale IRPEF più le aliquote addizionali/regionali, il dipendente dovrà versare la sua parte di contributi previdenziali obbligatori (9,19%) ma otterrà un versamento TFR pari al 6,91%. Se l’aumento fosse elargito come versamento nella previdenza complementare, il lavoratore otterrà una deduzione pari alla sua aliquota marginale IRPEF e una tassazione massima del 15% al momento del pensionamento.
Vediamo un esempio numerico ipotizzando un lavoratore con RAL di 55.000 €, tralasciando gli effetti della rivalutazione TFR e del rendimento del Fondo Pensione
Come si può vedere dalla Tabella, sotto le condizioni sopra descritte, l’aumento in busta paga corrisponde ad un costo del lavoro per l’Azienda di circa il 25% in più.
Mentre versando la maggior retribuzione ad un Fondo Pensione, il lavoratore otterrà un capitale quasi 2,5 volte maggiore.
Naturalmente, per beneficiare della maggior retribuzione il dipendente dovrà attendere il momento del pensionamento, forzando il dipendente ad una diversa scelta di consumo intertemporale (“Meglio un uovo oggi o una gallina domani?)