Nella storia dei mercati finanziari ci sono dei giorni che rimarranno per sempre nella storia e, dato che la mente umana è decisamente più sensibile ai fallimenti che ai successi, questi sono quasi sempre associati ad aventi eccezionalmente catastrofici. Il 15 Settembre del 2008 il colosso Lehman Brothers e i suoi dipendenti con gli scatoloni in mano entrano prepotentemente nelle nostre menti e nei nostri occhi dopo il fallimento della quarta banca d’affari USA a seguito della crisi legata ai mutui subprime.
La storia è nota. Il mercato immobiliare USA dal 2000 viveva in una bolla senza precedenti, assecondata anche dalla politica monetaria espansiva della FED che tentava di sostenere l’economia a stelle e strisce dopo la grande paura dello scoppio della bolla Internet. Le Banche erogavano sempre più prestiti e mutui ai cittadini americani (che realizzavano così il vero sogno americano) poichè avevano convenienza a farlo, in quanto gli immobili posti a garanzia, con il loro valore in continua ascesa, avrebbero più che garantito l’esposizione debitoria. Perciò si pensò di aumentare i volumi “impacchettando” i mutui in tranches dentro a strumenti chiamati CDO o “collaterized debt obligations” e rivendendoli a investitori istituzionali (ma non solo) dopo aver ricevuto il loro rating dalle agenzie. Così i libri contabili delle Istituzioni Finanziarie venivano “ripuliti” e si poteva continuare ad erogare finanziamenti. Via via tutti i debitori più affidabili vennero soddisfatti, così le Banche cominciarono ad erogare finanziamenti a controparti con standard creditizi sempre più bassi e con livelli di indebitamento sempre crescenti. Risultato: debito impacchettato dentro altro debito sostenuto da garanzie immobiliari. Nel 2004 la politica monetaria si fa restrittiva, i mutui si fanno meno sostenibili, aumentano i default e la domanda di mutui crolla e con questa le quotazioni immobiliari. I CDO diventano titoli “spazzatura”, illiquidabili e pertanto le Banche si trovano in difficoltà a reperire liquidità per garantire i pagamenti. In breve l’epidemia si diffonde convolgendo anche colossi come AIG esposti al settore tramite CDS (Credit Default Swap), in pratica assicurazioni contro il fallimento delle società. La crisi si riversa in tutto il mondo, portando vicino al fallimento intere nazioni (Islanda e Irlanda tra le altre).
La vicenda è ben narrata in tre film Hollywoodiani, ognuno con il suo proprio punto di vista: “Too Big to Fail” e “Margin Call” del 2011 e “The Big Short” del 2015.
“Too big to fail” Il film racconta il punto di vista delle istituzioni governative americane con William Hurt nei panni del segretario del Tesoro Hank Paulson e Paul Giamatti in quelli del presidente della FED Ben Bernanke che si trovano ad affrontare una crisi senza precedenti. Nel film viene evidenziato come in prima battuta non si sia potuto (o voluto) evitare il fallimento della Lehman Brothers, onde evitare il dilemma del moral hazard nei confronti degli altri attori finanziari coinvolti, ma in seguito al dilagarsi della crisi, il Tesoro Usa abbia agito come prestatore di ultima istanza a colossi della Finanza e delle Assicurazioni, come AIG, definiti troppo grandi e con implicazioni troppo radicate per poter essere lasciati fallire. Alla fine il Governo USA promuoverà il programma TARP (Troubled Asset Relief Program) per garantire liquidità al sistema finanziario e incentivare le Banche a riprendere i finanziamenti per l’economia reale.
“Margin Call” Il film racconta la vicenda dal punto di vista di una delle Banche d’affari coinvolte e responsabili della crisi dei subprime. Nel film Kevin Spacey è il capo del trading desk di una di queste che si trova inaspettatamente a fronteggiare l’emergenza. Nel corso di un processo di ristrutturazione e ridimensionamento della Banca, il giovane analista Peter Sullivan completa il lavoro del suo ex manager e arriva là dove nessuno, nè il Risk Management nè il Trading Desk nè tantomeno il CEO della Banca, era ancora arrivato: i prodotti su cui la Banca aveva fondato gran parte del suo business (MBS, Mortgage Backed Securities) avevano totalmente perso il suo valore a causa della crisi immobiliare. Pertanto, nel corso di una notte, il CEO della Banca convoca il suo Board e decide che l’unica cosa da fare è liberarsi dei titoli tossici, costi quel che costi, anche se questo comporta la perdita della reputazione.
“The big Short”. Il film ci fa vedere la stessa vicenda, ma dal punto di vista di coloro che per primi hanno previsto lo scoppio dela bolla immobiliare e ci hanno scommesso contro. La prima figura, quella sicuramente più nota, è quella di Michael Burry (interpretato da Christian Bale) allora a capo del fondo Hedge Scion capital. Avendo previsto lo scoppio imminente della bolla, decide di scommettere contro le emissioni di CDO acquistando Credit Default Swap. Quando il mercato crolla, le sue operazioni consento al Fondo di conseguire un profitto di circa +490%. La seconda figura è quella di Mark Baum (Steve Carrell), figura adattata di Steve Eisman, investitore a capo di una allora unità di Morgan Stanley. Baum viene a conoscenza di quanto studiato da Berry, oltre a scoprire che il mercato dei subprime è molto più enorme di quanto fino ad ora sospettato, grazie anche all’utilizzo di strumenti derivati quali i CDO sintetici. Anche lui decide di prendere posizione contro il mercato e vince la scommessa. Le ultime figure sono quelle di due giovani trader, Geller e Shipley, ispirati dalle figure dei fondatori della Cornwall Capital, che vengono a conoscenza per puro caso della bolla e, verificatone il fondamento, decidono anche loro di scommettere contro il mercato grazie all’aiuto di un banchiere in pensione, Ben Rickert.