Bias Cognitivi – Home Bias

La mente umana tende a semplificare concetti e ragionamenti complessi tramite procedimenti mentali intuitivi e sbrigativi che offrono delle scorciatoie per arrivare al concetto senza eccessivo sforzo e con facilità. Tali processi possono portare a vere e proprie distorsioni della realtà, cioè a (pre)giudizi fondati sulle proprie percezioni personali, se non addirittura sulle proprie ideologie, e ad affrontare qualcosa che non si conosce (o non si capisce) tramite i propri filtri. Queste distorsioni sono i Bias cognitivi.

La finanza comportamentale tenta di spiegare il comportamento degli agenti economici e la loro irrazionalità nell’elaborare i loro processi decisionali economico-finanziari, applicando principi di psicologia individuale e collettiva. Gli investitori, quindi, soffrono di distorsioni cognitive e tendono ad agire in modo irrazionale, basandosi su idee distorte, quando si approcciano al tema della gestione delle proprie finanze.

Un Bias molto comune è quello che viene chiamato Home Bias, cioè quella distorsione che fa ritenere preferibile ciò che si conosce, o che si ritiene vicino, a qualcosa che si conosce poco o che non ci fa sentire sicuri. In questo modo, quindi, un investitore fugge dalla propria atavica paura di sbagliare. In finanza, questo traduce nell’acquistare azioni e obbligazioni domestiche di società che si conoscono perché sono generalmente le più grandi e le più “scambiate”, ma di cui spesso si ignora se il bilancio risulta in attivo o in passivo, se il management ha subìto cambiamenti, persino i prodotti che produce o i servizi che offre, e così via.

L’Home Bias va ovviamente a discapito di uno dei principi cardini di una asset allocation corretta ed efficace, la diversificazione. Avere una buona diversificazione vuol dire cogliere delle opportunità
di crescita nei mercati esteri, mitigare le oscillazioni dell’investimento non incentrando tutto il rischio su un solo Paese e, in generale, ottenere performances migliori assumendo meno rischio.

Il mercato azionario Italiano nel 2018 pesava per circa l’1% dell’intero mercato mondiale (Fig. 1). Questo sta a significare che avere tutto il proprio portafoglio investito in azioni italiane che si ritengono erroneamente “sicure”, “affidabili”, “profittevoli” vuol dire che si sta enormemente sovrappesando le potenzialità del mercato domestico, senza che vi sia alcuna ragione logica. A maggior dimostrazione di ciò, fa pensare che tra i principali indici di mercato il solo che ancora presenta una performance negativa dallo shock dell’11 Settembre 2001 è proprio il FTSE MIB (Fig.2).

Fig. 1 Capitalizzazione di mercato nel 2018
Fig.2 Evoluzione dei principali indici dal 01/09/2001. In arancione il FTSE MIB

Per sperimentare l’effetto diversificazione, prendiamo come esempio due portafogli azionari, uno costituito esclusivamente da un ETF che investe sul mercato azionario italiano, e un secondo costruito tramite 4 ETF che investono nel mercato Nordamericano (40%) , in quello Europeo (30%), in quello Asiatico (20%) e in quello dell’America Latina (10%) e confrontiamo le loro performances lungo gli ultimi 10 anni di mercato.

 

Portafoglio

Diversificato

Azionario

Italia

Performance Cumulata

169,62%

119,96%

Performance Annuale

10,42%

8,19%

Volatilità Annuale

14,55%

21,60%

Sharpe Ratio

0,73

0,39

Max Drawdown

-34,58%

-41,53%

Tempo di recupero

322 gg

460 gg

 

 

 

La simulazione è ottenuta con i seguenti ETF: IE00B4K48X80, LU1437016543, LU1900066629, IE00B5L8K969 e IE00B53L4X51

La tabella illustra i risultati ottenuti. E’ facile verificare che il portafoglio azionario diversificato ha ottenuto una performance annuale superiore con una minore volatilità, risulta superiore sia in termini di indice di Sharpe che di perdita massima nel periodo (Drawdown). A questo proposito vale evidenziare come, dato che la mente umana rimane legata agli eventi estremi specie se negativi, con un portafoglio diversificato si sperimenta una perdita massima inferiore di circa 7 punti percentuali ma, soprattutto, un tempo di recupero inferiore di quasi 5 mesi.